Accettazione

La prima cosa che ciascuno di noi dovrebbe imparare e ricordare, è che siamo degli esseri meravigliosi, la seconda è che lo sono anche tutti gli altri esseri umani che ci circondano. Accettare non significa sopportare, fare buon viso a cattivo gioco o sobbarcarsi qualche incombenza obtorto collo considerato come male minore. Non dobbiamo immaginare che il significato di questo termine si avvicini a tolleranza o sopportazione. Dobbiamo imparare ad accostare accettazione ai concetti di accogliere, abbracciare, apprezzare. accogliere, approvare. Accettare se stessi e gli altri, comporta innanzitutto la sospensione del giudizio.

“L’accettazione di sé presenta due aspetti: il riconoscimento obbiettivo e sereno delle nostre caratteristiche fisiche e psichiche che ci limitano, nonché dei comportamenti inadeguati o sbagliati che ci appartengono, e la coscienza della nostra dignità di persone che, per quanti errori possiamo commettere, rimaniamo sempre esseri umani fallibili e degni di rispetto” (Strocchi, 2002).

Il primo passo verso l’accettazione di se stessi è quello di comprendere che abbiamo sempre fatto il meglio possibile, considerando lo stato emotivo, finanziario, affettivo, in quel particolare momento. Partendo dal presupposto che accettazione non significa rassegnazione, quanto piuttosto abbracciare ciò che siamo, sono i propri aspetti meno piacevoli quelli con cui dobbiamo imparare a convivere serenamente. Le strategie che quotidianamente utilizziamo perché non emergano gli aspetti più vergognosi del nostro corpo o della nostra cultura. Possiamo cambiare tutto ciò. Evitando di nascondere le nostre imperfezioni fisiche, nascondendoci il sedere (di cui non siamo fieri) con un maglione legato in vita, con la camicia fuori dai pantaloni per mimetizzare la pancia (eccessivamente opulenta) e quelle psichiche, declinando inviti a cene o a incontri (poiché inducono una sensazione di inadeguatezza) oppure ostinarsi a pretendere di aver ragione durante una conversazione (pur di non ammettere la propria ignoranza in merito a quel particolare argomento). Con alcune nostre espressioni non “modificabili”, come per esempio l’altezza, non possiamo fare altro che imparare a conviverci, ma con altri per cui non è detta l’ultima parola, più che il diritto, ho il dovere di intervenire. Seguendo il vecchio adagio secondo il quale “Abbiamo l’obbligo di migliorarci la vita” ben vengano tutte le iniziative volte ad arricchirci, a realizzare una versione migliore di noi stessi. «Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscere la differenza». Questo enunciato del teologo Reinhold Niebuhr, riassume in modo esemplare, il concetto di accettazione.

Tendenzialmente ciascuno di noi desidera essere considerato un buon figlio, un buon genitore, un buon impiegato, etc. Come sostiene Jung, le parti di noi che teniamo nascoste vanno a costituire la nostra “Ombra” e sono condizionate dal timore profondo che la loro espressione e manifestazione sarebbe criticata o avrebbe conseguenze terribili e spaventose. Per conseguire questo obiettivo è indispensabile la sospensione del giudizio. Imparare a non criticare, a non sentenziare, a non condannare, in alte parole a non giudicare. Se stessi e gli altri. Grun (1998) afferma che chi riesce ad ammettere i propri errori davanti agli altri e accetta se stesso quando fa delle gaffe di fronte agli altri, possiede veramente una buona autostima perché si sa accettare così com’è, anche con i propri aspetti meno piacevoli.

Allontanandosi dal principio dell’accettazione, il rischio è quello di cadere nel sentimento del rancore, che come sosteneva Nelson Mandela, è come bere veleno sperando che muoia il tuo nemico. Altro rischio della mancanza dell’accettazione è quello che il nostro comportamento possa sfociare nell’ira. Marco Aurelio sosteneva che: “Le conseguenze della collera sono molto più gravi delle sue cause”. Esistono persone che cercano di incontrare la persona giusta piuttosto che diventare la persona giusta. Probabilmente perché è molto più semplice convincersi che siano gli altri a non essere ancora pronti, piuttosto che doversi scontrare con l’amara realtà dei nostri limiti.

“Tutto ciò che ci irrita negli altri può portarci a capire noi stessi”

— Jung

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